Il nemico è l’ignoranza.
Ha lo sguardo idiota di una chat ininterrotta,
le sembianze del tatuaggio seriale,
della sigaretta tremula in mano alla signora,
dei neomelodici o equipollenti sparati nei timpani altrui.
L’hanno seminata a piene mani,
perché non comprendessimo la differenza tra essere sembrare e avere,
perché ci accontentassimo di sembrare di avere e non ci curassimo di chi siamo.
Adesso la raccogliamo a vagonate e ce ne facciamo grandi abbuffate.
La bulimia di merda non è un disturbo alimentare.
mercoledì, Febbraio 3, 2010
Il cartello non dà indicazioni.
Niente frecce, niente istruzioni.
Da che parte per la libertà?
Di fronte un muro.
E se fosse proprio da quella parte?
Bisognerebbe abbatterlo per saperlo.
Da una crepa nel muro
può cominciare la demolizione
di tutto l’edificio.
"dammi tempo che ti scarvotto
disse il monaco alla fava"
lunedì, Febbraio 16, 2009
Un telo di plastica
o un velo di pudore?
La bellezza in formalina
o la dignitosa ruga?
Siamo Uomini o Cavalieri?
giovedì, Febbraio 12, 2009
Non è vero che il cemento è grigio,
e non è vero che il cemento è freddo.
Basta che un "teppista" lo colori
e si trasforma in materia morbida e calda.
Così misuri la possibilità che hai
di modificare a tua misura ciò che ti circonda.
Ma i colori devono essere a pagamento,
per le loro scatole elettroniche di merda;
le multe ai writers
e lo squallore per tutti.
martedì, Febbraio 10, 2009
Due vele, due esili alberi, uno scafo inaffondabile.
Si va, verso l’Oceano, l’Infinito, l’Utopia.
Con due foglie, due stuzziacadenti ed un tappo di sughero
non si va da nessuna parte, hanno detto.
Hanno proprio ragione, poveretti!
Sul terreno gli elementi sono stati disposti.
Abbiamo il componimento.
E’ a piacere.
Ma non c’è piacere, neppure a cercarlo.
La bottiglia è schiacciata, e dentro non ci trovi messaggi di aiuto.
Il messaggio è di disperazione.
La vongola è vuota, il suo ventre prima si è putrefatto e poi è inaridito.
Il filo di plastica non lega e non collega,
ma il nodo scorsoio promette,
e mantiene!
Sono qui,
solo, non ho l’altro per fare un paio;
faccia a
terra, e non mi giro.
Ho camminato
tanto,
ho visto
cose belle e ne ho cercate di migliori.
Il terreno
era sporco,
ma ho
evitato i tappeti.
Così ho
seminato orme nei miei giri,
ma non erano
da appendere ai muri.
Ai muri del
salotto appendono i soldi e padre pio,
belle
bagnanti e tramonti infuocati.
Io ero al
muro dei comunardi,
e lo vedevo
con gli occhi dei bambini di Gaza.
Su questa
spiaggia, che non può essere l’ultima,
io sono
traccia, memoria delle mie tracce.
Ma non mi
accontento di questa mia sorte,
non sono
pago dell’aver camminato.
Prima che la
suola sia tutta consumata,
"scarpe
rotte eppur bisogna andar"
a cercare,
ancora,
una nuova
primavera.